Capelli grigi, vaporosi e sottili, come la nebbia della città che ama. E’ un caso d’emigrazione volontaria e all’inverso: i nonni sono emigrati in America a inizio secolo, ora lui, giacché il Novecento è agli sgoccioli, dall’America riemigra in Sicilia, una mattina del 1998.
Vincent Schiavelli è soggetto e protagonista del documentario “Many Beautiful Things -Tanti beddi cosi”, presentato al pubblico dopo la Tao Class con Pamela. Attore feticcio di Milos Forman, è lui Fredrickson di “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, o il valletto di Salieri in “Amadeus”. Altro ruolo che l’ha reso noto il fantasma della metropolitana in “Ghost” a fianco di Patrick Swayze. Il regista Aurelio Gambadoro ci svela la svolta dell’attore hollywoodiano alla ricerca di radici, sogni e verità, sullo sfondo d’una Sicilia dai piccoli borghi isolati e ventosi. Un metro e novantasei centimetri d’altezza, allampanato, occhi acquosi e grandi d’una malinconia divertita dalla vita, la risata sonora. Il connubio è scioccante tra l’eccezionale capacità che ha di risultare ridicolo e l’intensità drammatica per cui s’è pronti a commuoversi, come fu per il grande Totò la cui leggerezza nasceva dalla ‘pesantezza’ dell’occhio acuto e sensibile. Seguendo il richiamo delle proprie origini, come un bambino la voce della mamma, Schiavelli si reca nella città di Polizzi Generosa, nelle Madonie, per vedere finalmente il posto mitico dei racconti di nonno Andrea, monsù (cuoco di casata) emigrato a “Bruculinu” (Brooklyn). Incredibile quanti americani abbiano sangue siciliano nelle vene! Vedi Martin Scorsese, anche i suoi nonni emigrarono proprio da Polizzi. Paesaggio bucolico, idealizzato dalla nostalgia, dove l’acqua è più buona che altrove, e i “cacoccioli” si colgono direttamente a mani nude. Vincent al suo arrivo non avverte lo stridere con la realtà circostante: la interpreta secondo quei racconti d’infanzia, avvolgendo Polizzi d’un amore unico e sconfinato. Il sogno del vecchio e del bambino è possibile, lontano dalle luci di Hollywood e dell’America.
Dal nonno ha ereditato inoltre la passione per la cucina. Ha quindi dato vita a un programma televisivo locale che mostra la preparazione di piatti tipici polizzani. Con brio e straordinaria comunicativa interagisce col cuoco e traduce dal siciliano, veloce e spigliato. L’uso che fa alternato di dialetto e inglese-americano è da maestro. Fa anche un po’ emozionare la sua parlata, spesso indistinguibile da quella d’un locale, da cui sguscia fuori solo a tratti l’accento americano. La sua lingua è in realtà quella arcaica, ottocentesca dei nonni, che nessuno a Polizzi Generosa conosce (e riconosce) più e che Vincent mantiene ostinatamente in vita. Gesticola e spalanca gli occhi mentre parla e ride spesso, forse per carattere, forse perché qui è felice.
E proprio nell’uso della lingua Vincent ci da la dimostrazione lampante dell’amore viscerale e tenero che può legare un uomo a una terra, non importa se sua. Vincent riconosce Polizzi Generosa come terra del suo testamento spirituale, quel paesello sperduto e arroccato più che lande chilometriche di prateria americana. Ci mette un po’ a capirlo. Dopo essere riuscito a organizzare uno spettacolo coinvolgendo giovani attori siciliani e non, aveva pensato bene di tornarsene in America, ma in quell’occasione aveva conosciuto Katia Vitale, che allora studiava recitazione. Rincontratisi, stanno insieme sei settimane, dopo di che, dice Katia, “era chiaro che saremmo rimasti insieme tutta la vita”. Schiavelli così si stabilisce definitivamente a Polizzi Generosa, portando il teatro e la sua eclettica presenza in una città che lo accoglie con naturalezza. All’incontro col puparo palermitano Mimmo Cuticchio Vincent mette le mani avanti: “Non parlo italiano, parlo solo siciliano”. E Mimmo sorride ironico: “Ni putemu parrari allura”. Si crea una collaborazione molto stretta, stimolante. Decidono, seguendo un’idea vagheggiata da tempo da Mimmo, di mettere in scena per le vie di Polizzi “Il risveglio di Don Chisciotte”, in cui, vestiti come pupi dell’opera a grandezza naturale, Vincent, Katia e il cast tutto s’esibiscono in uno spettacolo itinerante. Con la dignità del soldato, il fervore d’un ragazzino, Vincent nei panni di Don Chisciotte si cheta, triste, poi la pupilla freme, si rianima, e fa un monologo che non finisce più. “Questo pianeta è piccolo, dobbiamo trovare un modo di starci tutti insieme!” grida nella scena finale della morte che, vedi la beffa del destino, coglierà l’attore poco tempo dopo. Un cancro, di cui già mostrava i primi sintomi nella voce ritirata e nello sforzo di recitare ogni sera il suo alter-ego, Don Chisciotte. Così tutti lo ricordano, bardato dell’armatura metallica e lucida d’un don Chisciotte dallo sguardo fiero e melanconico, avanzare nella nebbia dolce e avvolgente di Polizzi come una carezza. Il giorno della sua morte il comune ha dichiarato il lutto cittadino e Vincenzu, come si faceva chiamare, è stato sepolto al cimitero di Polizzi. Vincent Schiavelli è rimasto in America, qui abbiamo perso Vincenzu.